“Uber Pop opera in concorrenza sleale, e va rimosso”. E’ questa la decisione del Tribunale di Milano, motivata dal fatto che gli autisti Uber non devono sostenere i costi di licenza che gravano per legge sui tassisti italiani. Una decisione che lascia a dir poco perplessi, e che obbliga l’Italia a restare un passo indietro rispetto al resto del mondo per tutelare interessi di categorie che non sono in grado di stare al passo coi tempi. Tutto ciò, inoltre, si ripercuote negativamente sui consumatori, che vedono condizionata la propria libertà di scelta, con la beffa di dover sottostare alle carissime tariffe dei taxi, che in Italia continuano ad essere un lusso per pochi.
Il servizio Uber è attivo in tutto il mondo e utilizzato da una vasta community di utenti. L’Italia si aggiudica ancora una volta la maglia nera, con una scelta che di fatto limita il libero mercato, toglie posti di lavoro e danneggia l’economia del Paese. Esulta la politica, che come al solito non perde mai occasione per tacere.
Ma il problema a monte dove sta? Nelle tariffe dei taxi sicuramente. A differenza degli altri paesi, dove c’è una liberalizzazione del mercato, in Italia i taxi pagano caro il costo della licenza, che si aggira tra gli 80 mila e i 200 mila euro, a seconda del Comune. Tradotto? Buona parte dei costi di un viaggio in taxi, servono al tassista per ripagarsi la licenza. Cosa è che dovrebbe essere fatto allora? Il governo dovrebbe aumentare le licenze per abbassare le tariffe, ma questo ovviamente non si farà, salvo non avere particolarmente a cuore l’ennesima rivolta dei tassisti.
Quello che però i tassisti non ti diranno mai, è che una licenza viene venduta a questi prezzi perché ce n’è un numero assolutamente limitato in circolazione. I tassisti pertanto, forti di un mercato d’élite, le rivendono garantendosi una buona uscita non indifferente. Per questo la lobby dei taxi non ammette liberalizzazioni: un nuovo arrivato, otterrebbe la licenza gratuitamente, e potrebbero pertanto consentire tariffe decisamente inferiori, come accade in qualsiasi altro paese del mondo. Ovviamente questo significherebbe un allargamento dell’offerta che soddisferebbe una domanda maggiore, a causa dell’abbattimento dei costi di servizio. Quindi? Contenti tutti? Sicuramente i consumatori, sicuramente i nuovi tassisti…ma non certo quelli vecchi, che dovranno rivendersi le licenze in prossimità del pensionamento.
Conclusione? A causa di una totale mancanza di coraggio politico, i tassisti oggi tengono in ostaggio il mercato.
Guardando però le cose da un altro punto di vista, quello che ci piacerebbe sapere è per quale motivo un gruppo di cittadini non possa auto-organizzarsi per dare e ricevere passaggi. E’ una cosa che si fa da molto prima che esistesse Uber; qual è quindi la colpa della multinazionale americana? Aver organizzato un servizio in maniera efficiente, basandosi sulle nuove tecnologie e consentendone l’utilizzo su larga scala?
No perché altrimenti, dovremmo aspettarci dall’oggi al domani un vigile urbano ad elevare verbali per ogni macchina in condivisione?
La questione non riguarda solo Uber, e i centinaia di posti di lavoro messi a rischio dalla decisione del Tribunale di Milano, ma riguarda l’intera mobilità del Paese. Un mercato dei taxi chiuso a riccio, fa sì che i cittadini italiani continueranno a non potersi permettere una corsa, col risultato che per ogni famiglia italiana continueremo ad avere due o tre macchine, che resteranno utilizzate per la maggior parte del tempo, parcheggiate magari per strada e occupando inutilmente spazio. L’inquinamento continuerà a sforare le soglie di tolleranza, i tempi di percorrenza continueranno ad essere drammatici, la spesa sanitaria continuerà a crescere, e tutto questo per non toccare gli interessi di una categoria, poggiati su una folle gestione da parte dello Stato Italiano.
La soluzione in realtà ci sarebbe: lo Stato potrebbe pagare un indennizzo ai tassisti, a patto di liberalizzare subito il mercato. Difficile invece risalire all’origine di questa situazione assurda, che ha generato un mercato collaterale che oggi vale oro. Riassumendo: i cittadini continueranno a pagare scelte assurde del passato, applicate da governi con scarsa competenza, e perpetrate dalla totale assenza di coraggio politico dei governi attuali.
Ma a conti fatti, siamo davvero sicuri che tenersi buoni i tassisti sia vantaggioso? Se si considera il potenziale mercato che ruota attorno alla liberalizzazione dei taxi, ed alla sharing economy che sempre più prende piede nel resto del mondo, la decisione del Tribunale di Milano – che dipende purtroppo dall’assurdità delle regolamentazioni in fatto di taxi – rischia di creare un danno esponenzialmente più grosso all’economia intera del Paese, bloccando di fatto lo sviluppo di un settore in piena espansione, che potrebbe tornare a vantaggio di tutti: nuovi posti di lavoro, abbattimento dei costi, aumento dell’offerta, diminuizione dell’inquinamento, dei tempi di percorrenza, della spesa sanitaria nazionale, aumento di parcheggi, e maggior efficienza dei servizi incentivata dalla competitività del mercato.
Non parlerei di cittadini che si organizzano per dare passaggi. Si tratta di attività economica, e come tale dovrebbe essere sottoposta alla tassazione del reddito prodotto, altrimenti la concorrenza è sleale.